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Economia ad idrogeno
  In Sardi News 2004, tre domande al Nobel Carlo Rubbia: da che energia primaria la produzione?

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Economia ad idrogeno
In Sardi News 2004, tre domande al Nobel Carlo Rubbia: da che energia primaria la produzione?

IDROGENO: LO DOVREBBERO PAGARE SOLO I SARDI? POLLICINO D’ISLANDA NON DA’ IL BUON ESEMPIO

 
Giusto ieri mi domandavo se si debba sempre credere ai Nobel. Direi di no. Il Nobel Kary Mullis ed il quasi Nobel Robert Gallo si azzuffano sui farmaci Glaxo anti AIDS. Secondo Mullis sono una  truffa ipermiliardaria e per di più una cura peggiore del male. Secondo Gallo esattamente il contrario.
Mi faccio quindi coraggio e chiedo chiarimenti al Nobel Prof. Rubbia: egli afferma che l’economia ad idrogeno non è un’utopia e che il combustibile si potrebbe produrre in Sardegna per via termochimica sfruttando l’irraggiamento solare con specchi concentratori.

Primo chiarimento. L’idrogeno non è un’utopia. Ergo, il prof. Carlo Rubbia  potrebbe aiutare a trovare i capitali internazionali per la ricerca sul suo uso. Sono milioni di dollari che attendono buoni investimenti. Perché la Sardegna da sola dovrebbe fornirli? Si dice che il vantaggio futuro sarà dei sardi. Certo, come è certo che di speranze deluse è lastricata la via del sottosviluppo.

Secondo chiarimento. Per incoraggiare la classe dirigente sarda ad investire nell’economia ad idrogeno il Prof. Rubbia cita il progetto pilota Ectos in Islanda. Lì circolano tre autobus Pollicino ad idrogeno che si riforniscono ad un distributore cinque chilometri distante dal centro abitato di Reykjavik (sarà perché l’idrogeno è esplosivo?).
Stiamo ai fatti: per produrre idrogeno occorre molta energia. L’Islanda  ne ha: il 39% del fabbisogno è infatti coperto dal geotermico (i geyser) ed il 19% dall’idroelettrico.  E la Sardegna? Ha il sole. Vediamo.
Per produrre un chilo di idrogeno sono necessari, ad essere ottimisti, almeno 40 kWh di energia, più di quella che l’idrogeno restituisce bruciando. E’ la vecchia storia del secondo principio della termodinamica.
Quantifico con un esempio domestico il consumo energetico per produrre idrogeno. Si  immagini di collegare al contatore ENEL di casa un generatore di idrogeno per idrolisi. In 12 ore se ne produrrebbe circa un chilo, sempre che nel frattempo frigorifero, televisione e lampadine rimangano spente per evitare un sovraccarico. 
E’ stato calcolato che in Italia per avviare un minimo di economia ad idrogeno ci vorrebbero 50 grosse centrali, nucleari ad esempio. In Sardegna due almeno.
Ma, si diceva, c’è il sole. Prima o poi prenderemo atto che se d’inverno accendiamo le stufe per scaldarci è perché l’irraggiamento del sole non soddisfa a sufficienza i nostri comodi, anche in Sardegna.
Si possono fare dei conti sulla estensione di moderni specchi ustori necessari per produrre idrogeno dall’acqua in quantità non irrisorie. Molte migliaia di ettari sottratti agli alberi, all’agricoltura, alla nostra terra che tutti dicono bellissima. Gli specchi lo sono un po’ meno.

Terzo chiarimento. Il Prof. Rubbia afferma che nel mondo il passaggio all’idrogeno è necessario per diminuire le emissioni di CO2 al fine di mitigare il cambiamento climatico. Si deve obiettare che l’argomento è molto controverso e che gli scienziati più avveduti  hanno grandi riserve sulla teoria delle cause antropogeniche del riscaldamento terrestre. Vi sono forti indizi che la terra abbia già subito un surriscaldamento nel medioevo tra l’800 e il 1300 ed una piccola glaciazione tra il 1400 e il 1850. Certamente non dovute alla civiltà industriale del petrolio. A voler essere pedanti si deve anche ricordare che il vapore acqueo è il principale gas serra. E che bruciare idrogeno vuol dire emettere vapore in vece di CO2. Sarebbe anzi bene che un Nobel, dall’alto della propria autorità, spiegasse al pubblico cosa avverrebbe ad eliminare l’effetto serra dalla terra: l’avanzamento del deserto. E’ per questo che gli sconvolgimenti climatici da piccole variazioni di CO2 nell’aria sono indimostrate litanie di catastrofisti.

Si dice che Stati Uniti e Giappone investono milioni di dollari sull’idrogeno. Investono anche su molte altre ricerche. Però non hanno il PIL della Sardegna, e neppure un pregiudizio “ideologico” avverso al nucleare.  Il fatto poi di per sé garantisce niente. Dagli anni ‘50 ingenti risorse sono state spese, nell’ordine, per: la magnetoidrodinamica, la fusione controllata, la fusione fredda, il letto fluidizzato. L’elenco potrebbe continuare. Alcune di queste tecnologie si sono dimostrate fantasia pura.

Conclusione: se si vuole l’economia ad idrogeno è bene porsi prima il problema da quale energia primaria lo si produce.

Gli scienziati dovrebbero poi evitare di indorare troppo gli scenari futuri o di renderli foschi sulla base di teorie molto opinabili. Ed è bene che si tengano anche lontani dai conflitti di interesse e dalla politicizzazione della Scienza.
Infine l’ho detto: conflitto di interessi e politicizzazione della Scienza. Ma questo è un altro discorso che riprenderò presto. Intanto interessa che il Prof. Rubbia sia Presidente dell’ENEA, ente di ricerca per la promozione delle energie alternative. Dopo la sospensione del nucleare in Italia, l’ENEA è impegnato nello sforzo di giustificare il proprio staff, il proprio ruolo, addirittura la propria sopravvivenza. L’industria privata finanzia poco l’ENEA. Per risollevare le sorti del quale non sarebbe giusto chiedere alla Sardegna centinaia di milioni di euro di supporto.
Meglio invece parlar chiaro al contribuente sardo: i soldi spesi in ricerca non daranno l’energia pulita né domani né tra vent’anni. Però si spera che la ricerca  generi competenze, dimensione internazionale, nuovo capitale umano. Meglio di una cattedrale nel deserto. E’ poco? Lo decidano i sardi consapevolmente. Certo, a qualcuno verrà il dubbio che 100 milioni per una ricerca mono-obiettivo sono troppi. Senza offesa per il Nobel Rubbia, credo abbia ragione.

 
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