Giusto ieri mi domandavo se si debba sempre credere ai  Nobel. Direi di no. Il Nobel Kary Mullis ed il quasi Nobel Robert Gallo si  azzuffano sui farmaci Glaxo anti AIDS. Secondo Mullis sono una  truffa ipermiliardaria e per di più una cura  peggiore del male. Secondo Gallo esattamente il contrario.
Mi faccio quindi coraggio e chiedo chiarimenti al Nobel  Prof. Rubbia: egli afferma che l’economia ad idrogeno non è un’utopia e che il  combustibile si potrebbe produrre in Sardegna per via termochimica sfruttando  l’irraggiamento solare con specchi concentratori.
          
Primo chiarimento. L’idrogeno  non è un’utopia. Ergo, il prof. Carlo  Rubbia  potrebbe aiutare a trovare i  capitali internazionali per la ricerca sul suo uso. Sono milioni di dollari che  attendono buoni investimenti. Perché la Sardegna da sola dovrebbe fornirli? Si dice che  il vantaggio futuro sarà dei sardi. Certo, come è certo che di speranze deluse  è lastricata la via del sottosviluppo. 
          Secondo chiarimento.  Per incoraggiare la classe dirigente sarda ad investire nell’economia ad  idrogeno il Prof. Rubbia cita il progetto pilota Ectos in Islanda. Lì circolano  tre autobus Pollicino ad idrogeno che si riforniscono ad un distributore cinque  chilometri distante dal centro abitato di Reykjavik (sarà perché l’idrogeno è  esplosivo?). 
            Stiamo ai fatti: per  produrre idrogeno occorre molta energia. L’Islanda  ne ha: il 39% del fabbisogno è infatti  coperto dal geotermico (i geyser) ed il 19% dall’idroelettrico.  E la Sardegna? Ha il sole. Vediamo.
            Per produrre un chilo  di idrogeno sono necessari, ad essere ottimisti, almeno 40 kWh di energia, più  di quella che l’idrogeno restituisce bruciando. E’ la vecchia storia del  secondo principio della termodinamica. 
            Quantifico con un  esempio domestico il consumo energetico per produrre idrogeno. Si  immagini di collegare al contatore ENEL di  casa un generatore di idrogeno per idrolisi. In 12 ore se ne produrrebbe circa  un chilo, sempre che nel frattempo frigorifero, televisione e lampadine  rimangano spente per evitare un sovraccarico.  
            E’ stato calcolato  che in Italia per avviare un minimo di economia ad idrogeno ci vorrebbero 50  grosse centrali, nucleari ad esempio. In Sardegna due almeno. 
            Ma, si diceva, c’è il  sole. Prima o poi prenderemo atto che se d’inverno accendiamo le stufe per  scaldarci è perché l’irraggiamento del sole non soddisfa a sufficienza i nostri  comodi, anche in Sardegna. 
            Si possono fare dei  conti sulla estensione di moderni specchi ustori necessari per produrre idrogeno dall’acqua in quantità non irrisorie. Molte  migliaia di ettari sottratti agli alberi, all’agricoltura, alla nostra terra  che tutti dicono bellissima. Gli specchi lo sono un po’ meno.
          Terzo chiarimento. Il  Prof. Rubbia afferma che nel mondo il passaggio all’idrogeno è necessario per  diminuire le emissioni di CO2 al fine di mitigare il cambiamento  climatico. Si deve obiettare che l’argomento è molto controverso e che gli  scienziati più avveduti  hanno grandi  riserve sulla teoria delle cause antropogeniche del riscaldamento terrestre. Vi  sono forti indizi che la terra abbia già subito un surriscaldamento nel  medioevo tra l’800 e il 1300 ed una piccola glaciazione tra il 1400 e il 1850.  Certamente non dovute alla civiltà industriale del petrolio. A voler essere  pedanti si deve anche ricordare che il vapore acqueo è il principale gas serra.  E che bruciare idrogeno vuol dire emettere vapore in vece di CO2.  Sarebbe anzi bene che un Nobel, dall’alto della propria autorità, spiegasse al  pubblico cosa avverrebbe ad eliminare l’effetto serra dalla terra:  l’avanzamento del deserto. E’ per questo che gli sconvolgimenti climatici da  piccole variazioni di CO2 nell’aria sono indimostrate litanie di  catastrofisti.
          Si dice che Stati  Uniti e Giappone investono milioni di dollari sull’idrogeno. Investono anche su  molte altre ricerche. Però non hanno il PIL della Sardegna, e neppure un pregiudizio  “ideologico” avverso al nucleare.  Il  fatto poi di per sé garantisce niente. Dagli anni ‘50 ingenti risorse sono  state spese, nell’ordine, per: la magnetoidrodinamica, la fusione controllata,  la fusione fredda, il letto fluidizzato. L’elenco potrebbe continuare. Alcune  di queste tecnologie si sono dimostrate fantasia pura. 
          Conclusione: se si  vuole l’economia ad idrogeno è bene porsi prima il problema da quale energia  primaria lo si produce. 
          Gli scienziati  dovrebbero poi evitare di indorare troppo gli scenari futuri o di renderli  foschi sulla base di teorie molto opinabili. Ed è bene che si tengano anche  lontani dai conflitti di interesse e dalla politicizzazione della Scienza. 
            Infine l’ho detto:  conflitto di interessi e politicizzazione della Scienza. Ma questo è un altro  discorso che riprenderò presto. Intanto interessa che il Prof. Rubbia sia  Presidente dell’ENEA, ente di ricerca per la promozione delle energie  alternative. Dopo la sospensione del nucleare in Italia, l’ENEA è impegnato nello  sforzo di giustificare il proprio staff, il proprio ruolo, addirittura la  propria sopravvivenza. L’industria privata finanzia poco l’ENEA. Per  risollevare le sorti del quale non sarebbe giusto chiedere alla Sardegna  centinaia di milioni di euro di supporto. 
            Meglio invece parlar  chiaro al contribuente sardo: i soldi spesi in ricerca non daranno l’energia  pulita né domani né tra vent’anni. Però si spera che la ricerca  generi competenze, dimensione internazionale,  nuovo capitale umano. Meglio di una cattedrale nel deserto. E’ poco? Lo  decidano i sardi consapevolmente. Certo, a qualcuno verrà il dubbio che 100  milioni per una ricerca mono-obiettivo sono troppi. Senza offesa per il Nobel  Rubbia, credo abbia ragione.